Abbandonabile …

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Ho capito di essere una persona abbandonabile.
Non nel senso che non posso evitare l’abbandono, che mi è ovvio fin da bambina. Ma che lo considero una possibilità imminente e talvolta auspicabile. Un tempo pensavo di essere una che abbandona facilmente.
Ora so che, anche se con dolore, sono abbandonabile.
Voglio dire che quando sento che non ci sono le condizioni per incontrarsi davvero, per intendersi senza troppa fatica, «abbandonami» è un invito liberante.
Non è obbligatorio tenermi, frequentarmi è facoltativo.
E questo dà molta leggerezza e grazia all’incontro.
Come fanno le libellule e forse i volatili in genere. Può far molto male all’inizio, può atterrare ma poi piano piano si sente che sopra la testa e tutt’intorno si allarga un grande spazio libero. C’è piú sfondo e un sentore appena accennato di nuove possibilità. L’odore è l’esatto opposto dell’odore di bruciato. Un profumo fresco di bucato appena steso, di pavimento appena spazzato e poi lavato. Con cura.
Con le finestre aperte.

Chandra Candiani da ‘Questo immenso non sapere’
Illustrazione digitale Dina Carruozzo Nazzaro AtelierD
(📷personale + 🖼 William-Adolphe Bouguereau)

I bambini che si amano

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I BAMBINI CHE SI AMANO
(Prevert alle elementari)
I bambini che si amano
lo chiamano amore,
non sanno ancora le altre parole,
provarci, starci, mettersi insieme,
dicono Carlo ama Paola
ma Paola ama Michele,
e se lo chiedono su un pezzo
di carta, mi ami? si/no,
e niente vie di mezzo,
i bambini fanno l’amore
con mani di cioccolata
e piccoli baci asciutti,
poi guardano gli attori nei film
abbracciarsi a spalle nude
e si domandano se è tutto lì,
i bambini si amano
e a chi dice loro che l’amore
è solo per i grandi
vorrebbero dire che non è vero,
ma poi gli viene in mente un gioco
e vanno a giocare.
(Viviana Viviani)

illustrazione collage digitale Dina Carruozzo Nazzaro AtelierD

Non voglio…

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Non voglio imparare a non aver paura, voglio imparare a tremare.
Non voglio imparare a tacere, voglio assaporare il silenzio da cui ogni parola vera nasce.
Non voglio imparare a non arrabbiarmi, voglio sentire il fuoco, circondarlo di trasparenza che illumini quello che gli altri mi stanno facendo e quello che posso fare io.
Non voglio accettare, voglio accogliere e rispondere.
Non voglio essere buona, voglio essere sveglia.
Non voglio fare male, voglio dire mi stai facendo male, smettila.
Non voglio diventare migliore, voglio sorridere al mio peggio.
Non voglio essere un’altra, voglio adottarmi tutta intera.
Non voglio pacificare tutto, voglio esplorare la realtà anche quando fa male, voglio la verità di me.
Non voglio insegnare, voglio accompagnare.
Non è che voglio così, è che non posso fare altro.
Chandra Livia Candiani

illustrazione collage digitale Dina Carruozzo Nazzaro AtelierD

La poesia

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La poesia come la intendo io non è un rifugio dalle calamità economiche, politiche, ecc, ma un avamposto.
Un fortilizio dove vengono elaborate nuove strategie d’attacco all’afasia totale.
Nuove pratiche di comunicazione dell’indicibile, perchè se non lo nominiamo, torneremo allo statuto degli animali senza ragione.
La poesia ha il compito, il dovere direi, anche se la parola dovere non fa parte del mio vocabolario, di inventare la nuova oralità, il nuovo canto degli anni a venire.
Sotirios Pastakas

illustrazione collage digitale Dina Carruozzo Nazzaro

Se solo…

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Se solo il vento fosse
Perdo
foglie in autunno
capelli, saggezza di stagioni.
Conservo il secco
delle conversazioni.
Se solo il vento fosse
dalla mia parte ti arriverebbe
il profumo i campi l’ estate.
È presto
per nascondersi nell’inverno
ma voglio dormire
coperta di terra e di pace.
Se solo il vento fosse
dalla mia parte
avrei radici oltre l’ asfalto.
Se solo il vento fosse
la voce di chi
è andato via di spalle.
Agnese Coppola

illustrazione Dina Carruozzo Nazzaro
AtelierD

…con le ali

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di Ijeoma Umebinyuo (Nigeria)
Nessuno ti aveva avvertito
che quelle donne a cui avevi tagliato i piedi per impedirgli di correre
avrebbero dato alla luce
figlie con le ali.
Nobody warned you
that the women whose feet
you cut from running
would give birth to
daughters with wings.

traduzione e illustrazione Dina Carruozzo Nazzaro AtelierD

Fammi essere ancora figlio

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Fammi essere ancora figlio.
Solo una volta. Una volta sola.
Poi ti lascio andare.
Ma per una volta, ancora, fammi sentire sicuro.
Proteggimi dal mondo.
Fammi dormire nel sedile dietro il tuo.
Guida tu. Che io sono triste e stanco.
Ho voglia che sia tu a guidarmi, papà.
Metti la musica che ti piace.
Che sarà quella che una volta cresciuto piacerà a me.
Fammi essere piccolo.
Pensa tu per me.
Decidi tu per me.
Mettimi la tua giacca, che a me sembra enorme, perché ho freddo.
Prendimi in braccio e portami a letto perché mi sono addormentato sul divano.
Raccontami storie.
E se sei stanco non farlo. Ma non te ne andare.
Ho voglia di rimanere figlio per sempre.
Abbracciami forte come dopo un gol.
Dormi ancora, come hai fatto, per una settimana su una sedia accanto al mio letto in ospedale.
Rassicurami.
Carezzami la testa.
Lo so che per tutti arriva il momento in cui devi fare da padre a tuo padre.
Ma io non voglio.
Non ora.
Voglio vederti come un gigante. Non come un uccellino.
Non andare, papà.
Ti prego.
Fammi essere ancora figlio.
Fammi essere per sempre tuo figlio.
Gabriele Corsi

collage fotografico Dina Carruozzo Nazzaro AtelierD: rivisitazione di una foto di Edouard Boubat del 1956 in un vicolo di Taranto su foto di Daniele Lisi