
Per questo amore radicato nelle tue parole d’arnica,
che mi guariscono da febbre e brividi
della paura, per quel tuo sguardo di notturno
cielo e il vibrato che rende la tua voce un canto,
giuro che darei il cuore, che non ho più
vorrei tornare indietro al tempo
in cui credevo che Dio fosse le mani
di un uomo che mi teneva fuori
dal silenzio ‒ da cui fuggivo come
un cane mendicando una carezza ‒, credevo vero eterno necessario
il centro del dolore in cui trovavo
casa dopo la foga degli abbracci,
invece la terra è franata tante volte
un nome dietro l’altro, mi ha costretta
a guardare in una falda d’acqua
il mio riflesso abbacinato
da un’infanzia inconcludente
vorrei amarti come avrei potuto
quando i fianchi erano prestati al rischio degli spigoli più arditi, prima che le unghie
delle mani da dolci attraversassero
la stagione della cura lasciando segni carsici
da qui al mio futuro, che ora è sordo
muto cristallizzato, una farfalla
dentro l’orrore bianco di uno scrigno,
immacolato di intenzioni.
Silvia Rosa
[da TEMPO DI RISERVA]
illustrazione collage digitale Dina Carruozzo Nazzaro AtelierD